Le regole del Wing Chun
Un pò di storia
Un pò di storia
Molte sono le cose che oggigiorno si leggono o si vedono sulla meravigliosa arte del Wing Chun. Grazie ad internet, possiamo accedere a un incredibile varietà di siti dedicati a quest’arte marziale, a un impressionante numero di documenti, più o meno interessanti nel loro contenuto tecnico-filosofico, e a centinaia, se non migliaia, di filmati fatti da seri professionisti e pseudo tali. Tutto questo marasma di informazioni, questa necessità di dover per forza dire la propria sul Wing Chun, non ha fatto altro che creare enorme confusione, su una delle arti marziali più belle ed efficaci al mondo.
Qualche tempo fa, un mio appassionato allievo, scarico da internet una serie di articoli, sull’arte del Wing Chun, scritti da alcuni valenti sifu di fama mondiale. In uno di questi lessi Ip Man non aveva designato un successore, perché non ne aveva trovato uno che fosse degno a succedergli. Cazzata! Scusate, soprattutto nei confronti di chi l'ha scritto, ma è una vera cazzata. Questa idea, molto affascinante, che abbiamo noi occidentali sul degno successore, è priva di fondamento, considerando il fatto che il più delle volte, crediamo, che l’allievo preferito dal maestro sia l’ultimo arrivato. In età medievale, quando un maestro non aveva eredi, e decideva di prendere con se un unico e solo allievo, a questi tramandava tutto il suo sapere. Quando invece un maestro era un professionista, se non aveva eredi maschi, lasciava la scuola all'allievo più anziano, il quale in molti casi diventava anche il genero del maestro sposando una delle figlie. Questa mentalità era diffusa in tutto il mondo antico e non solo in Cina. In Europa, ad esempio, solo il primo genito di un nobile ereditava terre e possedimenti vari, i suoi fratelli, a parte i titoli nobiliari, dovevano solo sperare nell'animo buono del fratello maggiore o farsi "preti".
Nel 1989, grazie ad un caro amico, trasferitosi ora in Thailandia, ebbi la fortuna di conoscere colui che, in seguito, sarebbe diventato il mio sifu. Nino Bernardo allievo di Wong Shun Leung. Nino, era un insegnante diverso da quelli che finora avevo visto e conosciuto. La sua scuola non usava particolari divise, magliette, cinture o gradi. Arrivavi al Basement, così com’eri vestito, ho visto più di qualcuno arrivare in giacca e cravatta, ti mettevi comodo e iniziavi la Siu Nim Tau. A volte, quando l’allievo proveniva da altre realtà, sifu metteva alla prova la tua volontà. Io feci da punch ball ai suoi allievi più anziani per circa due settimane, e se c’era chi ti faceva capire con le buone, quanto fosse lontana la mia preparazione dalla loro, c’era anche chi si divertiva ad andarci pesante. Più volte tornai a casa con un occhio pesto o con qualche livido sul corpo. Ne valse la pena! In quel breve periodo, appresi la mentalità di sifu, il suo grande spirito, il senso di lealtà, l’importanza che dava alla famiglia, valori importanti che mi spinsero, nonostante la mia giovane età, a vivere a Londra per due anni.
Ip Man, non ha scelto un successore perché ne aveva molti. Tutti i suoi allievi mantenevano alto l’onore e il prestigio del Wing Chun, perché scegliere uno solo? Sifu è una parola che tradotta significa padre-maestro.
Fino al secolo scorso l’importanza di avere o essere allievi di un sifu era tale per i giovani cinesi, che erano più portati ad ascoltare le parole del proprio sifu che quelle del proprio padre naturale. Ip Man, aveva, per così dire, tanti figli acquisiti e ad ognuno di essi insegnò quanto lui aveva appreso dal suo venerabile maestro Chan Wah Shun e dal suo secondo allievo Ng Chung-sok. Fu quest'ultimo, infatti, a continuare Ip Man allo studio del Wing Chun, alla morte di Chan, tre anni dopo.
Altri pensano, e dicono, che il Wing Chun moderno è meno efficace di quello del passato. Effettivamente non hanno tutti i torti. Basta fare una rapida carrellata ai video registrati su you tube per rendersi conto di quanta porcheria viene insegnata e spacciata per Wing Chun. Per sigung Wong comunque non era così. Durante un suo stage a Milano nel 1991, gli venne posta proprio questa domanda, ossia se considerasse migliore il Wing Chun che aveva appreso ai tempi di Ip Man o quello che si era sviluppato con la generazione dei suoi allievi. “Senza dubbio alcuno, il Wing Chun che si pratica adesso è migliore di quello che ho imparato io”. Fu questa la sua risposta diretta. Il Wing Chun è ricerca, è confronto continuo. Oggigiorno abbiamo la possibilità di affinare la nostra arte confrontandoci con una miriade di stili e sistemi diversi, negli anni ’50 o ’60, i praticanti di Wing Chun si sfidavano con altri praticanti di kung fu. Poche erano le occasioni per confrontarsi con praticanti di altre arti marziali abitando a Hong Kong. Bruce Lee e alcuni altri furono rare eccezioni, ma fu proprio grazie a queste “rare” eccezioni, che si riuscirono a trovare punti morti anche nell’arte insegnata da Ip Man.
Il Wing Chun conosciuto, penso, dal 90% dei praticanti, è il Wing Chun di Ip Man, perché Ip Man è stato il solo a divulgarlo fuori dalla Cina. Oggigiorno fanno la comparsa altri sistemi di Wing Chun, chiamato Yong Chun, perché esportato dalla Cina Popolare, che usano più forme a mano nuda, altre armi, oltre il tradizionale bastone da sette punti e mezzo e i coltelli a farfalla, e con più di una forma all’omino di legno. Ma io sono convinto che al Wing Chun non manchino “forme perdute”, sono convinto che al Wing Chun manchi il lavoro interno.
Quando tornai da Londra e iniziai a insegnare, ebbi modo di confrontarmi con alcuni insegnanti di stili tradizionali di arti marziali, ma anche con alcuni kickboxer. Le persone che non conoscevano il Wing Chun restavano piacevolmente affascinate da un’arte in grado di controllare completamente il proprio avversario con rapidi e semplici spostamenti della linea centrale, chi, invece la conosceva, prima di iniziare il piccolo scambio di tecnica, mi chiedeva sempre di non usare i pugni a catena. Facile vincere un combattimento grazie a una granaiola di colpi, che comunque, in alcune occasioni ti espongo alla reazione istintiva dell’avversario. E’ come usare un fucile-mitragliatore. A me piace invece usare quello di precisione. E’ per questo, che la scuola di Nino Bernardo era differente da quelle che, in quegli anni si trovavano in giro. Sifu insegnava un’infinità di tecniche che si sviluppavano dall’arte stessa. I pugni a catena? Certo, ma non devono essere il cuore dell’arte.
Qualche tempo fa, un mio appassionato allievo, scarico da internet una serie di articoli, sull’arte del Wing Chun, scritti da alcuni valenti sifu di fama mondiale. In uno di questi lessi Ip Man non aveva designato un successore, perché non ne aveva trovato uno che fosse degno a succedergli. Cazzata! Scusate, soprattutto nei confronti di chi l'ha scritto, ma è una vera cazzata. Questa idea, molto affascinante, che abbiamo noi occidentali sul degno successore, è priva di fondamento, considerando il fatto che il più delle volte, crediamo, che l’allievo preferito dal maestro sia l’ultimo arrivato. In età medievale, quando un maestro non aveva eredi, e decideva di prendere con se un unico e solo allievo, a questi tramandava tutto il suo sapere. Quando invece un maestro era un professionista, se non aveva eredi maschi, lasciava la scuola all'allievo più anziano, il quale in molti casi diventava anche il genero del maestro sposando una delle figlie. Questa mentalità era diffusa in tutto il mondo antico e non solo in Cina. In Europa, ad esempio, solo il primo genito di un nobile ereditava terre e possedimenti vari, i suoi fratelli, a parte i titoli nobiliari, dovevano solo sperare nell'animo buono del fratello maggiore o farsi "preti".
Nel 1989, grazie ad un caro amico, trasferitosi ora in Thailandia, ebbi la fortuna di conoscere colui che, in seguito, sarebbe diventato il mio sifu. Nino Bernardo allievo di Wong Shun Leung. Nino, era un insegnante diverso da quelli che finora avevo visto e conosciuto. La sua scuola non usava particolari divise, magliette, cinture o gradi. Arrivavi al Basement, così com’eri vestito, ho visto più di qualcuno arrivare in giacca e cravatta, ti mettevi comodo e iniziavi la Siu Nim Tau. A volte, quando l’allievo proveniva da altre realtà, sifu metteva alla prova la tua volontà. Io feci da punch ball ai suoi allievi più anziani per circa due settimane, e se c’era chi ti faceva capire con le buone, quanto fosse lontana la mia preparazione dalla loro, c’era anche chi si divertiva ad andarci pesante. Più volte tornai a casa con un occhio pesto o con qualche livido sul corpo. Ne valse la pena! In quel breve periodo, appresi la mentalità di sifu, il suo grande spirito, il senso di lealtà, l’importanza che dava alla famiglia, valori importanti che mi spinsero, nonostante la mia giovane età, a vivere a Londra per due anni.
Ip Man, non ha scelto un successore perché ne aveva molti. Tutti i suoi allievi mantenevano alto l’onore e il prestigio del Wing Chun, perché scegliere uno solo? Sifu è una parola che tradotta significa padre-maestro.
Fino al secolo scorso l’importanza di avere o essere allievi di un sifu era tale per i giovani cinesi, che erano più portati ad ascoltare le parole del proprio sifu che quelle del proprio padre naturale. Ip Man, aveva, per così dire, tanti figli acquisiti e ad ognuno di essi insegnò quanto lui aveva appreso dal suo venerabile maestro Chan Wah Shun e dal suo secondo allievo Ng Chung-sok. Fu quest'ultimo, infatti, a continuare Ip Man allo studio del Wing Chun, alla morte di Chan, tre anni dopo.
Altri pensano, e dicono, che il Wing Chun moderno è meno efficace di quello del passato. Effettivamente non hanno tutti i torti. Basta fare una rapida carrellata ai video registrati su you tube per rendersi conto di quanta porcheria viene insegnata e spacciata per Wing Chun. Per sigung Wong comunque non era così. Durante un suo stage a Milano nel 1991, gli venne posta proprio questa domanda, ossia se considerasse migliore il Wing Chun che aveva appreso ai tempi di Ip Man o quello che si era sviluppato con la generazione dei suoi allievi. “Senza dubbio alcuno, il Wing Chun che si pratica adesso è migliore di quello che ho imparato io”. Fu questa la sua risposta diretta. Il Wing Chun è ricerca, è confronto continuo. Oggigiorno abbiamo la possibilità di affinare la nostra arte confrontandoci con una miriade di stili e sistemi diversi, negli anni ’50 o ’60, i praticanti di Wing Chun si sfidavano con altri praticanti di kung fu. Poche erano le occasioni per confrontarsi con praticanti di altre arti marziali abitando a Hong Kong. Bruce Lee e alcuni altri furono rare eccezioni, ma fu proprio grazie a queste “rare” eccezioni, che si riuscirono a trovare punti morti anche nell’arte insegnata da Ip Man.
Il Wing Chun conosciuto, penso, dal 90% dei praticanti, è il Wing Chun di Ip Man, perché Ip Man è stato il solo a divulgarlo fuori dalla Cina. Oggigiorno fanno la comparsa altri sistemi di Wing Chun, chiamato Yong Chun, perché esportato dalla Cina Popolare, che usano più forme a mano nuda, altre armi, oltre il tradizionale bastone da sette punti e mezzo e i coltelli a farfalla, e con più di una forma all’omino di legno. Ma io sono convinto che al Wing Chun non manchino “forme perdute”, sono convinto che al Wing Chun manchi il lavoro interno.
Quando tornai da Londra e iniziai a insegnare, ebbi modo di confrontarmi con alcuni insegnanti di stili tradizionali di arti marziali, ma anche con alcuni kickboxer. Le persone che non conoscevano il Wing Chun restavano piacevolmente affascinate da un’arte in grado di controllare completamente il proprio avversario con rapidi e semplici spostamenti della linea centrale, chi, invece la conosceva, prima di iniziare il piccolo scambio di tecnica, mi chiedeva sempre di non usare i pugni a catena. Facile vincere un combattimento grazie a una granaiola di colpi, che comunque, in alcune occasioni ti espongo alla reazione istintiva dell’avversario. E’ come usare un fucile-mitragliatore. A me piace invece usare quello di precisione. E’ per questo, che la scuola di Nino Bernardo era differente da quelle che, in quegli anni si trovavano in giro. Sifu insegnava un’infinità di tecniche che si sviluppavano dall’arte stessa. I pugni a catena? Certo, ma non devono essere il cuore dell’arte.
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